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nuocere [nU0©ere] (pop. o poet. nocere [nere]) v.; noccio [n0©©o] (meglio che nuoccio [nU0©©o]), nuoci — pass. rem. nocqui [n0kkUi]; part. pass. nociuto [no©2to] (meglio che nuociuto [nUo©2to]) — in tutta la coniug., U0 (pop. o poet. 0) se tonico e insieme finale di sillaba, 0 e ‑o‑ (meglio che -U0 e Uo‑) negli altri casi: voglio nuocerti, come t’ho sempre nociuto! [v0l’l’o nU0©erti, k1me tt q SS$mpre no©2to!] (Pirandello) — per noccio, noccia, ecc., err. nuocio, nuocia, ecc.; antiq. nuoco [nU0ko], nuoca [nU0ka], ecc.: Qual più cibo le nuoca, o qual più giovi [kU#l pLu ©©&bo le nU0ka, o kkU#l pLu JJ1vi] (Parini) — per nocqui, nell’uso ant. (fino al ’500) anche nocetti [no©$tti]: non mi nocette lo ferro caldo se non quanto quest’acqua fredda [nom mi no©$tte lo f$rro k#ldo Se nnoj kU#nto kUeSt #kkUa fr%dda] (Cavalca)

DOP

Redatto in origine da
Bruno Migliorini
Carlo Tagliavini
Piero Fiorelli

 

Riveduto, aggiornato, accresciuto da
Piero Fiorelli
e Tommaso Francesco Bórri

 

Versione multimediale ideata e diretta da
Renato Parascandolo