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che [k%+] cong. — es.: pare che non ci sia [p#re ke nnon ©i S&a]; dice che torna subito [d&©e ke tt1rna S2bito] — possibile l’elis. (ch’) soprattutto davanti a pronomi o voci del verbo essere che cominciano per e o per i; es.: crede ch’io lo sappia [kr%de k io lo S#ppLa]; sa ch’è vero [S# kk H vv%ro]; dopo ch’era partito [d1po k $ra part&to]; penso ch’egli abbia ragione [p$nSo k el’l’ #bbLa raJ1ne] (pop. tosc. penso che gli abbia ragione [id.]) — pop. tosc. l’uso pleonastico per introdurre una domanda (con eventuale elis.): che gli è venuto male? [ke l’l’ $ vven2to m#le?] (Collodi); ch’è guarito, poi? [k $ ggUar&to, p0i?]; anche roman., ma con doppio tono interrogativo: che? è guarito, poi? [ke? $ ggUar&to, p0i?] — d’uso lett. l’elis. (ch’, o anche c’) davanti ad a‑, o‑, u‑, h-: dopo c’hanno molto e lungo tempo praticato con istranieri [d1po k #nno m1lto e ll2jgo t$mpo pratik#to kon iStranL$ri] (Vico); io medesimo ch’or vi parlo [&o med%@imo k 1r vi p#rlo] (A. Verri); ei che più ch’altri Libò il mel sacro su l’Imetto [%i ke ppLu kk #ltri lib0 il mHl S#kro Su ll im$tto] (Foscolo) — nella lingua ant., talvolta ched davanti a voc.: temendo Ched e’ non fosse in compagnia d’Amore [tem$ndo ked % non f1SSe ij kompan’n’&a d am1re] (Guido Cavalcanti) — di norma con acc. scritto (ché) se usata col valore causale di «perché, giacché» (uso solo lett. in frasi interrogative, altrimenti comune): padre mio, ché non m’aiuti? [p#dre m&o, k% nnom m aL2ti?] (Dante); l’inchinavano anche quelli che da questi eran detti signori; ché, in que’ contorni, non ce n’era uno che potesse, a mille miglia, competer con lui [l ijkin#vano ajke kU%lli ke dda kkU%Sti Hran d%tti Sin’n’1ri; k%, ij kU% kont1rni, non ©e n $ra 2no ke ppot%SSe, a mm&lle m&l’l’a, komp$ter kon l2i] (Manzoni); alzatevi, ché non voglio farvi del male… [alZ#tevi, ke nnon v0l’l’o f#rvi del m#le…] (id.); o, meno spesso, col valore finale di «perché, affinché»: La lampada velai, ché il lume gli occhi Non le ferisca [la l#mpada vel#i, ke il l2me l’l’ 0kki non le fer&Ska] (A. Negri) — tuttavia, più spesso senz’accento scritto, pur col valore di «perché», quando quel valore non sia chiarissimo (potendosi avere tante volte un che polivalente), o quando nel parlato la particella sia del tutto atona, o quando non ci sia nessuno stacco (logico e fonico) dalle parole che la precedono e la seguono: canta che ti passa; sbrìgati che è tardi (qui anche ch’è…); copriti bene che fa freddo (qui anche ché fa…) — senz’accento scritto in ogni altro caso: a meno che (o ammenoché; non a meno ché); acciò che (o acciocché; non a ciò ché); a che (anche acché; ma non a ché); di che (es. non avere di che coprirsi; err. di ché...); ecc. — cfr. acché; acciocché; affinché; allorché; altro che; ancorché; anziché; anzi che no; attesoché; avvegnaché; avvegnadioché; benché; checché; checchessia; ciò che; comecché; comechessia; con ciò sia che; con ciò sia cosa che; con tutto che; cosicché; dacché; dappoiché; dopo che; dopo di che; dove che; finattantoché; finché; fintantoché; fuorché; giacché; imperocché; in quanto che; meno che; mercé che; nonché; oltreché; perché; perciocché; perocché; più che; più che perfetto; piuttosto che; poiché; poscia che; posto che; pressoché; purché; purchessia; qualche; quando che sia; se non che; sicché; stante che; talché; tuttoché