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effigiare v.; effigio [eff&Jo], ‑gi |
Del verbo effigiare, come in genere dei verbi in -are (e dei verbi in -ire), non è data la trascrizione fonetica dell’infinito (che sarebbe effiJ#re, come si ottiene combinando quella del presente effigio, registrato sùbito dopo, e quella della desinenza -are, riportata a pagina …, nella tavola dei suffissi che fa parte di quest’introduzione al «Dizionario»); il presente indicativo fa effigio [eff&Jo], effigi [eff&Ji]; e, non essendo detto altro, s’intende che la coniugazione è regolare. |
— fut. effigerò [effiJer0+] (raro, alla lat., effigierò [id.]) |
S’osserva solo che il futuro è di regola effigerò, senza -i-, e si pronunzia effiJer0+: l’-i- di effigiare (come pure di effigio e d’altre voci di questo verbo) non è infatti altro, nell’odierna pronunzia normale, che un contrassegno della pronunzia dolce del -g-, necessario (come lettera muta) davanti alle vocali a e o, ma superfluo davanti a un’e. E quel ch’è detto del futuro si sottintende che valga anche per il condizionale, ch’è dunque, di norma, effigerei [effiJer$i]. Effigiare è però un latinismo (cioè una voce dòtta, non passata dal latino all’italiano per tradizione orale, ma esemplata da letterati sul tardo latino effigiare, derivato di effigies); e nelle origini latine di questa famiglia di parole la lettera -i- non era muta, ma era una vera vocale, in iato con la vocale seguente. Si spiega perciò che il futuro possa qualche volta conservare, appunto per latinismo, l’-i- originario, si possa cioè presentare nella forma effigierò (e il condizionale, analogamente, nella grafia effigierei): in tal caso, la pronunzia è perlopiù la stessa, effiJer0+ (e rispettivamente effiJer$i), e l’-i- è quindi un residuo storico meramente grafico (come del resto nella pronunzia normale di effigie [eff&Je], dal latino effigies); ma non è però neppure esclusa, soprattutto nei nostri poeti classici (e anche in un certo tipo, ormai antiquato, di stile oratorio o aulico), una pronunzia (qui peraltro omessa, data la sua eccezionalità) effiJier0+, effiJier$i, che dia all’-i- il suo valore latino di vocale piena (sempre di vocale -i-, si badi, non mai di semiconsonante -L-, essendo, e essendo sempre stata, la pronunzia semiconsonantica dell’-i- dopo una consonante palatale affatto estranea alla pronunzia normale, e solo frequente in certi usi regionali). |
— dier. poet.: Le porte qui d’effigiato argento Su i cardini stridean di lucid’oro [le p0rte kU& dd effiJi-#to arJ$nto Su i k#rdini Strid%an di l2©id 0ro] (Tasso) |
Un esempio di tale pronunzia poetica latineggiante si può vedere nel primo dei due versi citati affianco di Torquato Tasso (1544-95): il participio passato effigiato (qui con funzione d’aggettivo) vi dev’esser letto infatti effiJi-#to, con un iato tra l’-i- e l’-a- tonica che lo segue, epperò con una sillaba in più rispetto alla pronunzia comune effiJ#to con -i- muto (casi simili si possono vedere, nel «Dizionario», sotto le voci alcione, coscienza, elogiare, legione, Prisciano, regione, religione, religioso, scienza, sociale, Trimalcione, ecc.). Nell’esempio citato (dove le maiuscole, per una ben nota convenzione, contraddistinguono l’inizio di ciascun verso), e nella sua trascrizione fonetica, si noteranno anche: il raddoppiamento sintattico dopo qui [kU&+], il troncamento di strideano (variante antiquata o poetica di stridevano), la rara elisione della vocale finale di lucido; e poi le vocali toniche aperte di porte, argento, oro, la chiusa del già citato strideano; la trascrizione Su i k#rdini ricalca la divisione grafica fatta dall’autore, non ìndica una neppur minima differenza rispetto alla trascrizione Sui k#rdini che corrisponderebbe alla grafia oggi normale sui cardini. |